L’avvocatino difensore – Carlo Collodi
Il suo nome era Tommaso: ma, in casa e fuori di casa, lo chiamavano Masino.
Masino aveva tutti i difetti, che può avere un giovinetto della sua età, fra gli undici e i dodici anni: disubbidiente, goloso, pigro, dormiglione, nemico dell’acqua per lavarsi le mani e il viso, coperto di frittelle e di strappi in tutti i vestiti che portava addosso, spacciatore di bugie all’ingrosso e al minuto, ciarliero, impertinente, rispondiero e avversario implacabile dei libri e della scuola.
La mamma lo sgridava: il babbo lo rimproverava: il maestro lo puniva, i compagni di scuola lo canzonavano della sua buaggine; ma il nostro Masino non se ne faceva né in qua, né in là.
«Quando avranno detto ben bene, si cheteranno!» E con queste parole, accompagnate da una spallucciata o da una scrollatina di capo, rimetteva l’animo in pace.
Un giorno, per altro, si ficcò in testa di essere perseguitato ingiustamente, e tenne fra sé e sé questo curioso ragionamento:
«Tutti mi sgridano… tutti l’hanno con me!… E la ragione? Alla fin de’ conti, io faccio quel che debbono fare tutti i ragazzi. La colpa, dunque, non è mia. La colpa è della mamma, la quale non si cheta mai; la colpa è del babbo, che urla sempre… la colpa è del maestro, che ha bisogno di farmi scomparire tutti i giorni dinanzi a’ miei compagni di scuola.
Oh che bella cosa se i babbi e le mamme qualche volta si correggessero della loro smania di brontolare!… Oh! che bella cosa se i maestri si persuadessero che dai ragazzi si può pretendere tutt’al più che vadano a scuola… Ma pretendere che vadano a scuola e che studino, mi pare una bella esigenza! Due cose a un tempo, chi è che possa farle?».
Batti oggi e batti domani con questi ragionamenti, Masino ebbe finalmente una bellissima idea, e disse tutto contento:
«Se mi facessi il difensore dei ragazzi come me? Se scrivessi un libro per dare una buona lezione ai babbi e alle mamme, e per correggere questi signori maestri, che sono peggio di tutti? Io non ho mai imparato a scrivere, ma ho sempre sentito dire che si scrive come si parla.
Io parlo bene, dunque debbo sapere scrivere!… E pensare che il babbo e la mamma si ostinano a mandarmi a scuola! Un momento: e che cosa potrei scrivere? una Commedia col titolo I brontoloni?… Per la commedia, non toccherebbe a me a dirlo, ci ho avuto sempre molta vocazione.
Anche la mamma, quando invento qualche bugia, dice sempre che somiglio al Bugiardo di Goldoni. Dunque, se somiglio al Goldoni, vuol dire che le commedie le so fare anch’io. E poi, quando ho fatto la Commedia, chi me la recita? E se per disgrazia me la fischiano? E il caso c’è, perché i babbi e le mamme, con la scusa di condurre noialtri ragazzi al teatro, vanno sempre alla commedia e alla farsa: e loro mi fischierebbero dicerto.
O non sarebbe più liscia se scrivessi invece un bel raccontino, da mettersi sui giornali? Così mi salverei dal pericolo dei fischi, e se mi scappasse qualche sproposito, nessuno ci guarderebbe, perché il babbo dice sempre che i giornali sono pieni di spropositi e di notizie false. Sì, sì, voglio provarmi e subito».
Detto fatto, il nostro Masino, si chiuse in camera: e presa la penna e un foglio di carta, cominciò il suo racconto con questo titolo:
UN RAGAZZINO MODELLO
ossia una buona lezione per i genitori
e per i maestri di scuola.
Poi seguitò così:
Masino era il più buon figliolo di questo mondo. Il suo babbo e la sua mamma lo sgridavano sempre, e lui li lasciava sgridare: il suo maestro, per cavarsi il gusto di punirlo, gli levava la colazione, e lui per prudenza faceva colazione prima di andare a scuola.
Ma venne finalmente un giorno, in cui i suoi genitori e il suo maestro si accorsero d’avere un gran torto a fargli sempre de’ rimproveri, e allora le cose andarono di bene in meglio.
Quando Masino qualche volta si dimenticava di lavarsi le mani e il viso, la sua mamma, invece di sgridarlo, cominciò a dirgli:
«Bravo Masino! Vedo che non ti sei lavato né il viso né le mani, e hai fatto bene. Coll’acqua, bambino mio, non bisogna pigliarsi mai confidenza. È così facile beccar delle infreddature e dei mal di petto!… A quanto pare, ti sei alzato ora dal letto, non è vero?»
_»Sì, mamma.»
«Sai che ore sono? sono le nove: e tu alle otto avresti dovuto andare a scuola…»
«Che vuoi? Avevo sonno, e dormivo così bene!…»
«Capisco, poverino! Il proverbio dice che chi dorme non piglia pesci, ma tu, carino mio, non devi fare il pescatore: dunque, se ti fa piacere, puoi dormire fino a mezzogiorno. E la lezione l’hai fatta?…»
«La volevo fare, ma poi me ne sono scordato…»
«Tale e quale come me! Anch’io volevo andare dalla mia sorella, e poi me ne sono scordata. Si vede proprio che sei figliolo della tua mamma. E per colazione che cosa prenderesti?»
«Prenderò il solito Caffè e Latte…»
«Ma rammentati, carino mio, di metterci dentro dimolto ma dimolto zucchero. Lo zucchero si compra apposta per finirlo subito, se no, va a male.»
«E c’inzupperò due fettine di pane.»
«No, angiolo mio, ci devi inzuppare due semelli, e bene imburrati, perché il burro fa bene alla gola e aiuta la digestione. E a scuola ci vuoi andare oggi?»
«Senti, mamma, non ci anderei…»
«È appunto quello che volevo dirti io. Per andare a scuola c’è sempre tempo. Sai piuttosto che cosa farei, se fossi in te? Anderei a giocare a palla fino a mezzogiorno: poi tornerei a casa a fare uno spuntino con una bella fetta di rosbiffe, un piatto di maccheroni con sopra due dita di cacio parmigiano, e una bella torta ripiena di panna montata. E se dopo lo spuntino, vorrai studiare un po’ la lezione…»
«Ecco, mamma, se invece di studiar la lezione, andassi a giocare a trottola nei viali delle Cascine?»
«Benissimo! Si vede proprio che sei un ragazzino pieno di giudizio. La trottola, alla tua età, è molto più utile della Geografia e della Storia. Che bisogno c’è di studiare la Storia quando tutto il mondo è pieno di storie? Dunque, addio carino: io scappo a fare una visita alla mia sorella, e tu cerca di divertirti più che puoi, e non studiar tanto!… (tornando indietro) Mi raccomando: non studiar tanto! (tornando indietro una seconda volta) Non studiar tanto, perché a studiare c’è sempre tempo!…»
Fra babbo e figliolo
Masino, pochi giorni dopo, andò in camera a cercare il suo babbo (il quale si era corretto del bruttissimo vizio di brontolare) e gli disse:
«Sai, babbo, che cosa mi ha fatto il maestro?».
«Che ti ha fatto?»
«Con la scusa che ho sbagliato a rispondere nell’Aritmetica, mi ha messo in penitenza…»
«Ma queste son cose orribili!… Lo racconterò ai carabinieri!…»
«Senti, babbo; io non voglio più andare a scuola.»
«Io farei come te. A che serve la scuola? La scuola non è altro che un supplizio inventato apposta per tormentare voialtri poveri ragazzi.»
«Capisci? Mettermi in penitenza perché l’Aritmetica non vuole entrarmi nella testa! Sta’ a vedere che un libero cittadino non è padrone di non saper l’abbaco? Perché anch’io sono un libero cittadino, ne convieni, babbo?»
«Sicuro che ne convengo.»
«Il mio maestro è un buon omo: ma è un omo piccoso. Figurati! pretenderebbe che i suoi scolari dovessero studiare!…»
«Pretensioni ridicole! Se viene a dirlo a me, non dubitare che lo servo io.»
«Dovresti andare a trovarlo!»
«Vi anderò sicuro: e gli dirò che i maestri possono pretendere che i loro scolari sappiano la lezione… ma obbligarli a studiare, no, no, mille volte no.»
«La volontà è libera, ne convieni, babbo?»
«Sicuro che ne convengo, e quando un ragazzo dice: «Io non voglio studiare» nessuno può costringerlo.»
«Figurati! Pretenderebbe che, durante la lezione, i suoi scolari stessero tutti zitti! Com’è possibile di stare zitti quando si sente la voglia di parlare?»
«Hai mille ragioni! Che forse la parola venne data all’uomo, perché a scuola stesse zitto? Lascia fare a me: domani vado a trovarlo, e gli dirò il fatto mio.»
A scuola
E il babbo andò davvero a trovare il maestro, e gli fece una bella lavata di capo, da ricordarsene per un pezzo: tant’è vero che quando Masino tornò a scuola, il maestro gli si fece incontro tutto mortificato, e tenendo il berretto in mano, gli disse:
«Scusa, sai, Masino, se l’altro giorno ti messi in penitenza. Fu uno sbaglio, perdonami: tutti si può sbagliare in questo mondo. Che cosa avevi fatto, povero figliuolo, da meritarti quel gastigo? Non avevi imparato la lezione…
Ma è forse questa una mancanza? Che forse gli scolari hanno l’obbligo di saper la lezione? Non ci mancherebb’altro! Animo, via, perdonami e non se ne parli più! Fammi intanto vedere i tuoi quinterni! Benissimo!
Sono tutti coperti di scarabocchi! Gli scarabocchi sui quinterni provano che lo scolaro è un ragazzino pulito e che studia bene. Ti darò sette meriti per gli scarabocchi. I ragazzi di buona volontà, come te, vanno sempre incoraggiati. Vediamo ora i tuoi libri. Arcibenissimo! Questi libri tutti strappati e sbrindellati, sono una bella prova che sai tenerne di conto.
La prima cosa che deve fare uno scolaro perbene e veramente studioso, è quella di sciupare i libri di scuola. Ti darò cinque meriti per i libri sciupati. Se domani poi, venendo a scuola, ne perderai qualcuno per la strada, ti aggiungerò altri cinque meriti, perché la cosa possa servir d’esempio a’ tuoi compagni. E questa macchia, che hai qui sul davanti della camicia, come mai te la sei fatta?».
«Me la son fatta stamani, nel leccare lo zucchero in fondo alla chicchera.»
«È una macchia che ti torna benissimo a viso. Io ho avuto sempre a noia gli scolari con la camicia pulita. Gli scolari mi piacciono, come te, tutti coperti di macchie e di frittelle. Ti darò sei meriti per quella bella macchia di caffè e latte. Ne meriterebbe di più, ma per oggi tiriamo via. Dimmi, Masino: hai studiato la lezione di Grammatica?»
«Sissignore.»
«Dimmi, dunque, quante lettere ci vogliono per formare una sillaba?»
«Così, all’improvviso, non saprei dirlo…»
«Benissimo. Me lo dirai un’altra volta. E l’Abbaco l’hai studiato?»
«Sissignore.»
«Che cosa rappresenta una crocellina così + posta fra due numeri?»
«Ecco… dirò… che rappresenta una croce…»
«Oggi non sei in vena a rispondere. Mi risponderai un’altra volta. E la Geografia l’hai imparata?»
«Sissignore.»
«Sentiamola. In quante parti si divide comunemente l’Italia?»
«In quattro parti: Italia di sopra, Italia di sotto, Italia nel mezzo, e Italia…»
«Italia come?…»
«Italia… da una parte.»
«Non è precisamente così, ma mi risponderai meglio un’altra volta. Eccoti intanto dieci meriti per la franchezza, con la quale hai risposto a tutte le mie domande.»
Agli esami della fin dell’anno, il bravo Masino si fece moltissimo onore, e il suo babbo e la sua mamma gli regalarono venti pasticcini e un panforte di Siena.
La morale della Favola
L’autore offrì questo suo Racconto a parecchi giornali, ma nessuno volle accettarlo. I più benigni si contentarono di ridergli in faccia. Allora il nostro amico si consolò dicendo:
«Peccato che nessuno abbia voluto pubblicarmi questo Racconto! Che bella lezione sarebbe stata per i genitori brontoloni e per i maestri tiranni!… Ma oramai ci vuol pazienza! e i ragazzi, con la scusa di farli studiare, si troveranno sempre perseguitati!…».
Collodi Carlo (pseudonimo di Carlo Lorenzini)
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